Prefazione

PREFAZIONE

Non sono giunti sino a noi dati storici sui legami tra Dante e i Templari. Nessuno dei suoi biografi ne fa cenno. Tuttavia il legame di fidelizzazione di Dante all’Ordine del Tempio emerge evidente dalla lettura della Commedia e anche i commentatori accademici meno proclivi ad un’interpretazione esoterica della sua opera principale non riescono a nasconderlo, citando sempre soltanto le ben note terzine che si riferiscono a Filippo il Bello e Clemente V. In realtà, i riferimenti ai Templari, nella Commedia, sono numerosissimi e disseminati in tutte le tre cantiche, spesso in maniera cifrata, riconoscibili solo da chi ne possieda la chiave interpretativa. Ci sono due maniere per approcciarsi al tema dei Templari: una è quella scientifica e storiografica che si basa sui documenti e sui dati oggettivi, l’altra è quella che si occupa della loro leggenda (che qualcuno vuol trasformare in mito). Per questo la bibliografia in proposito è divenuta esorbitante e disomogenea. Come dice Alain Demurger, nel suo testo fondamentale “I Templari”, questo tema è diventato un «filone inestinguibile di quella pseudo storia che si alimenta soprattutto di enigmi e misteri inestricabili». Non a caso, uno scrittore documentato e raffinato come Umberto Eco nel suo Il pendolo di Foucault, fa dire a un suo personaggio, il redattore editoriale Belbo: “quando uno va in una casa editrice a proporre un libro sui Templari è quasi sempre un matto”.

A causa di questa mancanza di documenti storici e nel tentativo di evitare di perdere il filo rassicurante della ragione, cercherò di tenere una trattazione in equilibrio tra storia e leggenda, basandomi, tuttavia, su elementi oggettivi, che emergono dagli scritti dello stesso Dante. In effetti, per dimostrare il rapporto tra Dante e i Templari, non c’è bisogno d’altre documentazioni bibliografiche. È lui medesimo, con quello che scrive nelle sue opere, a fornirci le prove di un suo stretto e particolare legame con quest’ordine, della cui fine egli fu testimone contemporaneo.