Un’altra curiosità relativa al rapporto tra Dante e i Templari è costituita da una sottile allusione del Poeta alla loro attività di attenti raccoglitori di reliquie e la fatto che potrebbero aver avuto un rapporto anche con la Sindone di Torino. Questo sottile riferimento è contenuto nel XXXI canto del Paradiso ai versi 103-11 e solo recentemente alcuni studiosi ne avrebbero colto il segnale.
Secondo quanto scrive, in un suo recente libro, la studiosa Barbara Frale, i Templari per un certo periodo della vita del loro Ordine furono i custodi della Sindone di Torino. Secondo questi monaci guerrieri questo telo proveniva dal Santo Sepolcro e per diversi anni la venerarono e la utilizzarono anche in funzioni rituali. Questa ipotesi era già stata portata avanti da uno studioso di Oxford, Ian Wilson, che aveva documentato il passaggio della Sindone all’interno dell’Orine del Tempio. Probabilmente il misterioso idolo che Filippo il Bello li accusò di venerare altro non era che la Sindone, che recava appunto l’immagine di un uomo barbuto e che, in alcune occasioni rituali interne, veniva mostrata ripiegata come se fosse un quadro. In realtà la Sindone è un lenzuolo funebre su cui è impressa una figura intera umana. Invece le leggende delle varie Veroniche, parlano di un piccolo panno con raffigurazione del solo volto di Cristo. Tuttavia, secondo alcuni la sindone di Torino sarebbe identificabile col mandylion di Edessa. Questo era un ampio lenzuolo che veniva esposto al pubblico piegato più volte in maniera tale da mostrare l solo volto.
Secondo Barbara Frale i Templari furono per lungo periodo i custodi della Sindone avendola sottratta durante il saccheggio di Costantinopoli, al tempo della quarta crociata (1204). È risaputo che i Templari erano dediti alla raccolta di reliquie in Terra Santa in quanto ritenevano che, in quel periodo di confusione dottrinale e di proliferare di eresie, la raccolta di reliquie sante potesse essere un potente strumento per rafforzare la fede dei cristiani. Questa teoria era già stata esposta dallo storico Ian Wilson, nel 1978, in un libro intitolato La sindone di Torino. Il lenzuolo funebre di Gesù Cristo. Probabilmente i Templari, anche per il modo avventuroso e discutibile con il quale si erano appropriati di questa importante reliquia e forse ancora per poterla conservare al loro interno senza subire rivendicazioni da chicchessia, la tenevano al loro interno e la mostravano segretamente solo ai propri appartenenti in occasione di alcune cerimonie. È possibile anche che ne avessero allestito alcune copie e che queste fossero sparse nelle varie sedi.
Probabilmente era questa l’immagine del famoso Bafometto, tanto citata nelle confessioni estorte con la tortura, prima del processo verso di loro, condotto indegnamente da Filippo il Bello. Questo idolo presunto che spesso veniva descritto come un uomo con la barba. Non possiamo sapere se Dante avesse questa conoscenza così approfondita delle reliquie templari e delle loro consuetudini. Certo, alla luce dei recenti studi dei Templari, questa citazione della Veronica, in occasione della comparsa di Bernardo, assume certamente una maggiore forza suggestiva e ci fa sospettare che Dante avesse notizie abbastanza precise sulla vera natura del Bafometto. La figura di Bernardo il con-templante (Par. XXXII, 1), con la sua presenza nell’Empireo, riscatta ed esalta il ruolo dei suoi protetti Cavalieri Templari alla massima gloria celeste e fornisce a Dante un altro argomento di difesa dell’Ordine del Tempio. Per chi volesse conoscere maggiori particolari rimando al mio Dante, Templare Nascosto.